La lama di Belvedere è un piccolo solco erosivo a forma di S, ubicato nel territorio Nord del Comune di Taranto, giacente all’interno di quel vasto tavolato che si dispiega ai piedi della corona dei Monti di Martina e degrada, ora gradualmente, ora con più decisi gradini, verso il Mar Piccolo.
Dal punto di vista geologico costituisce un’isola di calcarenite in un vasto mare di calcare duro cretacico, onde le tracce di attività di cava per l’estrazione di materiale per l’edilizia. Lo strato di calcarenite (tufo) è sempre sottile, e varia da alcuni decimetri a meno di 2 metri.
Da un punto di vista botanico il sito è caratterizzato da tipica vegetazione della macchia-gariga mediterranea. Questa si presenta più ricca all’interno della lama, ove annovera sia elementi comuni, come il perastro (Pyrus amygdaliformis), il mirto (Myrtus communis) ed il lentisco (Pistacia lentiscus), ma anche elementi più specializzati, come, sui fianchi più assolati, l’euforbia arborea (Euphorbia dendroides). Sul pianoro sovrastante si mostra invece nella veste più degradata di pseudosteppa, caratterizzata da elementi arbustivi a cuscinetto più radi e da piante erbacee a ciclo annuale, fra le quali l’elemento più caratterizzante è costituito dal lino delle fate (Stipa austroitalica). Si tratta di un habitat, noto come thero-brachypodietea, tutelato da specifiche direttive europee per la ricchezza di biodiversità in esso contenuta.
Le tracce di frequentazione umana sono molto diversificate.
Ad un insediamento stabile rimandano, tutte nella sponda occidentale della lama, 2 chiese rupestri, una casa-grotta ed una necropoli.
Questa è costituita da una serie di 4-5 tombe a fossa allineate con controfossa, parzialmente amputate per l’arretramento del fronte della lama, ed in una importante tomba con appendice cefalica (a logette), lunga ben 2 metri, situata in posizione eminente sopra una delle chiese, orientata ad Est ed allineata con l’abside sottostante. Tutte risalirebbero al Medioevo. Più a Sud si trova una grande calcara per la produzione di calce. Sullo spalto orientale si trovano un’ ampia cisterna idrica a sezione trapezoidale, la cui ispezione è tuttavia impedita dalla presenza di una grande pianta di rovo, ed una pila scavata nel tufo, con funzione di abbeveratoio per il bestiame. Nel pianoro adiacente le tracce di una carrareccia con direzione Sud-Nord.
Il territorio circostante ha inoltre restituito una discreta quantità di materiale ceramico, del tipo d’impasto, risalente alla protostoria, oltre che (più abbondante) comune da fuoco ed invetriata, medievale e moderna. Inoltre si rinvengono scorie ferrose (forse prodotto secondario dell’attività della calcara) e residui di materiale bellico risalente alla seconda guerra mondiale.
Le chiese si aprono ambedue sul fianco occidentale della lama.
La chiesa che indichiamo come vecchia (in quanto di impianto certamente più antico e di fattura molto semplice) è situata più a Sud, è preceduta da un lungo dromos scavato nel tufo, si apre con una porta sormontata da un accenno di lunetta centrata da una rozza croce. Un’altra croce è sullo stipite sinistro della stessa. L’interno è strutturata secondo uno schema tipicamente basilicale, non orientato: consta di una navata centrale e di due laterali individuate da 2 colonne per lato, unite da archi. Ambedue le colonne di destra ed una di quelle di sinistra sono state abbattute, ma restano visibili i monconi sulla volta. Il presbiterio è preceduto da due plutei iconostatici parzialmente abbattuti ma presenti ancora sul terreno. L’abside è di forma quadrangolare ma mon vi è traccia di altare, che doveva essere del tipo a dado. Il fianco destro, orientato ad Est, presenta sui muri dei riquadri recanti tracce sparute di affreschi ed una grande nicchia a profilo arrotondato con tracce di affreschi sia sul fondo che sull’infradosso dell’arco; ad un attento esame, si è dimostrato essere un secondo abside con altare a muro, poi abbattuto.
La mancanza di orientamento nel primitivo impianto lascia intravedere la possibilità che la chiesa sia stata scavata prima dell’XI secolo, mentre successiva a quel termine sarebbe la creazione della nuova abside, con l’abbattimento della colonna antistante.
La chiesa che indichiamo come nuova in quanto, essendo orientata, risalirebbe ad età posteriore al secolo XI, è preceduta da un breve ed ampio dromos, con funzione forse di nartece esterno. La struttura architettonica originaria è difficilmente decifrabile a causa del crollo della volta e della parte alta delle pareti della parte orientale della chiesa; il terreno è inoltre ingombro di grossi blocchi di crollo e di una gran quantità di interro proveniente dal piano di campagna sovrastante. Secondo la nostra ricostruzione si articola in un nartece che fa seguito all’ingresso, dal quale si accede all’aula per il tramite di due archi con una colonna interposta; attraverso un arco, da questa si accede, verso sinistra, al presbiterio, ove si trova l’abside a calotta con un altare a dado. Per consentirne l’orientamento ad Est, quest’ultimo si trova subito a sinistra rispetto all’ingresso. Le pareti sono scandite da nicchie di varia forma e profondità, tutte (tranne la grande nicchia di fronte all’altare, in funzione forse di diaconicon) affrescate, spesso con palinsesti.
L’affresco sovrastante l’altare mostra addirittura 3 strati palinsesti. Nell’aula sono riconoscibili un San Nicola, un Arcangelo Michele, ambedue in 2 edizioni, una santa anonima ed un trittico (forse una Madonna in trono); la nicchia meridionale del presbiterio conserva tracce di una probabile deesis e, nell’intradosso, la bella icona di un santo vecchio con lunga barba bianca (forse un eremita). Per il resto le pareti restituiscono solo sparute tracce indecifrabili, tranne, nel nartece, i resti ben visibili di un santo vescovo.
Alcune testimonianze documentarie consentono di ipotizzare la dedicazione almeno della chiesa nuova. Si tratta di alcune pergamene presenti nell’archivio dell’abbazia di San Benedetto di Montecassino, risalenti al 1327 ed al 1369. In essi si fa riferimento ad una chiesa di San Nicola de Casaraczulo, di proprietà della chiesa di san Pietro Imperiale (attuale san Domenico, dipendente a sua volta dall’abbazia cassinense) e situata nei pressi della via pubblica per Grottaglie (il Tratturello Tarantino?), della lama vitiosa (poi divenuta la Lama di rose, coincidente con la parte terminale della gravina di Mazzaracchio) e le terre dell'abbazia del Galeso.
Un altro documento riferisce inoltre come nel 1538 il capitano Donato Nasisi istituisse un beneficio di giuspatronato all’interno della chiesa di San Nicola di Casazzulo, allora presente nelle pertinenze della sua masseria, nota all’epoca come di Aere vetere e comprendete le attuati masserie Nasisi e Vaccarella.
Altre attestazioni di fine Cinquecento, provenienti dai resoconti delle visite pastorali di Monsignor Brancaccio, le terre notatas de Casazzulo coincidono con quelle dell’attuale masseria di Taccone, originariamente di proprietà dell’abbazia di santa Maria del Galeso.
Ricomponendo il puzzle dei dati emergenti dalla documentazione d’archivio, tutti risultano compatibili con la identificazione della chiesa nuova con quella di San Nicola de’ Casazzuli.
Anche la lettura della iconografia residua pare confortare tale ipotesi.